La crisi immobiliare di Milano e il processo di finanziarizzazione
Niente di nuovo, condito con superficialità e ipocrisia
Questa newsletter prende spunto dalle recenti vicende milanesi legate all’inchieste della magistratura (tema in cui non voglio entrare), per utilizzare questo caso come emblematico nel processo di finanziarizzazione di tutti gli asset, e in particolare di quelli immobiliari. L’obiettivo è spiegare i meccanismi di questo processo, ma anche mostrare l’estrema povertà del dibattito intorno a questo tema.
Qui di seguito una sintetica analisi del mercato immobiliare mondiale, tratta dal mio libro.
Il mondo immobiliare è l’immenso insieme di uno dei beni durevoli di cui le famiglie hanno più bisogno, ma è anche il più grande mercato finanziario mondiale. a circa 380 trilioni, cioè quasi quattro volte il PIL mondiale.1 Inoltre, ha un’importanza enorme, perché la casa è un bene necessario: lo dimostra il fatto che quasi il 90% del valore è dato da abitazioni residenziali, il resto da immobili commerciali. La quota principale di questo valore, il 26%, si trova in Cina, mentre i Paesi del G7, cioè quelli più sviluppati, ne rappresentano quasi il 50%, benché ci viva solo il 17% circa della popolazione mondiale. Ne emerge che il valore deriva non tanto dalla quantità degli immobili, quanto dalla loro valutazione, cioè dai prezzi, che sono più alti nei Paesi sviluppati, dove la qualità delle abitazioni è migliore, ma soprattutto ci sono molte richieste da clienti con redditi più elevati.
L’attività di investimento finanziario si concentra nelle aree dove è elevata la domanda di alloggi, e in particolare nelle grandi città e nelle zone turistiche. Essa si affianca alla ricerca di coloro che desiderano comprare per abitarvi; e queste due ricerche generano una continua crescita dei valori.
I motivi dell’acquisto a scopo finanziario possono essere vari: affittare successivamente per avere un reddito, ma anche comprare come bene rifugio, senza quasi pensare troppo al dopo, puntando al fatto che i prezzi continuano a salire e che quindi quell’investimento può rendere anche senza fare niente, attendendo un’ulteriore crescita dei prezzi. Il facile accesso ai mutui rende inoltre molto agevole investire, anche senza significativi capitali. I prezzi salgono gradualmente a partire dalle zone centrali per poi, a macchia d’olio, replicare il fenomeno sino alle aree più periferiche.
Questo processo è agevolato dagli investimenti pubblici (metropolitane, realizzazione di aree verdi, miglioramento dei territori), e dal conseguente investimento dei privati, che costruiscono nuove case, le quali migliorano il quartiere, e rivalorizzano anche le abitazioni più vecchie, che spesso vengono cedute a chi le ristruttura per poi rivenderle. Di conseguenza il valore dei terreni continua a salire, e la costruzione delle nuove case si rivolge sempre più alla fascia medio alta e a quella del lusso, rendendo l’intera città cara e poco accessibile a chi vuole venirvi dall’esterno per lavorare, studiare e viverci.
È interessante segnalare il caso tedesco, dove, per ragioni storiche, questo processo è stato per molti decenni bloccato, ma che il mondo finanziario è riuscito a sovvertire rapidamente negli ultimi anni. Riprendo qui di seguito quanto scritto nel mio libro, riguardo al mercato immobiliare della Germania.
Durante la Seconda guerra mondiale la gran parte del patrimonio immobiliare in Germania è stata distrutta dai bombardamenti alleati, e alla ricostruzione hanno contribuito molte società pubbliche e private, le quali, grazie a sussidi statali, sono arrivate a possedere circa il 25% delle case. Queste società hanno mantenuto nel tempo il loro patrimonio al costo storico, cioè senza tener conto di un’eventuale rivalutazione del bene. Ciò ha offerto ai tedeschi per molti decenni un attraente mercato dell’affitto che ha ridotto la spinta all’acquisto delle case, e che di conseguenza ha mantenuto i prezzi degli immobili stabili e inferiori a quelli delle altre nazioni europee. Questa è stata una situazione virtuosa, perché ha ridotto il costo della vita e favorito la mobilità soprattutto dei giovani.
A partire dalla fine del secolo scorso, lo Stato tedesco ha tolto i sussidi alle società detentrici del patrimonio immobiliare, e anzi ha promosso la cessione di quelle case, che sono state vendute, in blocco, a fondi di investimento internazionali, generando un notevole guadagno per le società venditrici, inclusi gli enti locali che ne erano azionisti. I fondi hanno comprato a debito e, alla scadenza dei contratti di affitto, hanno alzato i canoni, con incrementi esponenziali, sconvolgendo l’intero mercato immobiliare nazionale. Sulla scorta di questo, molti inquilini hanno preferito comprare casa, agevolati dalla liberalizzazione del mercato dei mutui, e l’incremento della domanda ha portato a sua volta a un rapido e forte aumento dei prezzi, riallineando il mercato tedesco agli altri.
Il tasso di proprietà, che era il più basso in Europa, è ora vicino agli standard europei. Gli operatori finanziari hanno poi quotato in Borsa le società che avevano creato per comprare i portafogli di case, ottenendo in poco tempo significativi guadagni.
Questo è l’esempio più lampante della trasformazione da valore d’uso a valore di investimento, cioè «valore del valore».
L’effetto negativo dell’alto prezzo degli immobili si allarga poi alle attività commerciali (negozi, ristoranti e bar), che lo ribaltano sui clienti, generando anche in questi settori una crescita indiretta dei prezzi dei servizi e dei prodotti.
Questo processo che è avvenuto a Milano è del tutto simile a quello delle altre grandi metropoli europee e statunitensi, ma anche ormai in città importanti dei paesi in via di sviluppo e in tutte le zone ad alta intensità turistica.
I prezzi degli immobili sono cresciuti in tutte queste aree molto più dell’inflazione negli ultimi decenni, generando quindi una ampia finanziarizzazione del mercato immobiliare.
Questo processo, proprio perché generalizzato, non dipende dalle impostazioni politiche delle amministrazioni locali: lo dimostra il fatto che negli Stati Uniti le due città che mostrano la maggiore gravità di questo problema sono New York e San Francisco, che sono da sempre amministrate dai democratici. (Va segnalato che recentemente ha vinto le primarie per il sindaco di New York per i democratici Zohran Mamdami, che si dichiara socialista e che ha fatto della battaglia contro il “caro città” il suo slogan elettorale).
L’altra causa del problema è che si costruisce troppo poco per soddisfare la domanda di alloggi in queste aree. Tutti gli studi mostrano che questo fatto è causato dalla scarsezza di suolo, dall’incremento della regolamentazione e conseguente difficoltà ad ottenere permessi di costruzione ed infine dalla resistenza dei residenti.
La scarsezza degli spazi nelle grandi città è un fatto evidente, ma è anche il risultato di una forte domanda di maggior vivibilità e quindi di spazi comuni, di maggior verde, di piste ciclabili. Tutto questo contrasta con la necessità di nuovi spazi per costruire, e questi possono essere trovati solo allargando la dimensione della città, e ciò implica anche la realizzazione di infrastrutture pubbliche per non rendere quei nuovi quartieri isolati e poco attraenti.
L’ostacolo davvero sottovalutato è quello della resistenza dei residenti: essi tendono a desiderare comprensibilmente una città più bella, meno affollata e più vivibile e quindi favoriscono tutte le scelte politiche che aumentano la regolamentazione e i vincoli a costruire e infine, anche se non lo dichiarano quasi mai, temono che l’immensa crescita dei valori immobiliari che si sono trovati in mano senza fare nulla possa essere compromessa. Questa impostazione che è basata strettamente sugli interessi personali è trasversale a tutte le idee politiche e unisce le persone che oggi abitano le grandi città, e appartengono a ceti sociali medio alti, hanno una forte capacità di fare pressione sull’opinione pubblica e sulla politica, e sono quindi portatori di interessi del tutto opposti rispetto ad un’espansione ulteriore della città che potrebbe ridurre la vivibilità, e soprattutto colpirli nel portafoglio.
Vale la pena tornare di menzionare il caso di San Francisco, città super libertaria e che vota massicciamente a sinistra, ma i cui cittadini si oppongono estremamente a processi di ulteriore urbanizzazione, ma questa metropoli ha un elevatissimo tasso di homeless, che non pare diano preoccupazioni né problemi di coscienza ai residenti.
La dimostrazione che serve costruire di più viene dal successo dei pochi casi in cui la realizzazione di nuovi immobili è stata liberalizzata, ed in particolare nelle due città di Austin in Texas e Wellington in Nuova Zelanda: in entrambe le città si è riusciti in questo modo a non far crescere più il prezzo delle case.
Senza entrare negli aspetti giudiziari del caso di Milano, appare probabile che per poter costruire si dovessero stabilire buoni rapporti con l’amministrazione, anche perché è abbastanza normale pensare che, ove un’autorizzazione è molto difficile da ottenere, il processo di selezione sia “relazionale”. Una maggior libertà nei permessi e una riduzione delle regole renderebbe tutto il processo più trasparente.
Di fronte a questo quadro dobbiamo confrontarci con il livello di dibattito e di soluzioni proposte, e da qui nasce la mia affermazione che siamo davanti a superficialità ed ipocrisia.
Ho ascoltato due dichiarazioni fatte dal sindaco Sala e da Salvini sul che fare ora, ed erano totalmente uguali, sostenendo che la città dovesse ora diventare più accessibile, e più attenta a chi vive nelle periferie e ha meno risorse economiche e finanziarie. Nessuno dei due spiegava come raggiungere questo obiettivo, e tantomeno i giornalisti lo chiedevano.
Ho appena spiegato come la situazione sia complessa e provenga da condizioni che si stanno ripetendo in tutto il mondo occidentale. Pensare di affrontarla con le parole e senza un programma è pura superficialità. Trovo in fondo i politici i meno colpevoli, poiché comunque il loro obiettivo è di vendere aspettative e speranze, molto più grave è il fatto che i media non riescano a sfidare le dichiarazioni dei politici, né a fare approfondimenti più ampi su questa tematica, al di là dell’argomento giudiziario. Infine, va menzionata l’assenza dei cosiddetti intellettuali, cioè di professori universitari, studiosi e tecnici che dovrebbero essere i primi a fare un’analisi approfondita, a rendere consapevole l’opinione pubblica della complessità del problema e a cercare di delineare delle ipotesi di lavoro, che mancano invece totalmente. Mi permetto di sollevare un dubbio, certamente malevolo, ma forse non del tutto infondato: non è che per caso tutti costoro temono, sollevando i problemi, di uscire dal giro delle consulenze dei lavori che Milano ha saputo finora fornire loro o potrebbe in futuro dargli?
L’ipocrisia è invece collettiva dei milanesi o della maggioranza di essi, poiché i giornali, le televisioni e le radio sono tutte piene di discorsi che riprendono le tematiche dei politici e invocano una città più inclusiva, ma nell’assenza di una spiegazione di come farlo, e soprattutto nell’assenza del riconoscimento del conflitto di interessi tra gli attuali residenti che posseggono una o più case e gli altri che sono ai margini di questa realtà; è facile indignarsi perché tanto si mette a posto la coscienza e poi si passa ad altro, al prossimo scandalo, alla prossima notizia.
A dimostrazione di questa ipocrisia, cito un fatto personale, cioè che alcuni anni fa avevo pubblicamente detto che la cosa più necessaria a Milano era costruire molto e allargare la città. Mi hai risposto nel suo blog Beppe Severgnini, che certamente è l’emblema della Milano moderata, saggia, benpensante, ma che poi non vuol cambiare nulla, dicendomi che questo era un approccio alla cinese dove si creavano le megalopoli e che Milano aveva bisogno di alberi e di tranquillità. Questa è la dimostrazione lampante che esiste nella società questo conflitto socioculturale di non facile soluzione, ma non riconoscerlo è la strada certa per non trovare soluzioni.
Che fare, dunque?
Innanzitutto, bisogna partire dall’accettazione della complessità della situazione e questo comporta che debbano essere trovate soluzioni al di fuori degli attuali schemi, che finora non hanno funzionato, e che sfuggono almeno in parte alle pure logiche del mercato, che, se da un lato hanno creato sviluppo, dall’altro hanno creato una distorsione a favore solo di una parte della società.
Bisogna dunque costruire di più e costruire in modo che i nuovi alloggi siano più accessibili. Cottarelli, in un suo intervento recente sul Corriere, faceva notare che i bandi pubblici per questo tipo di offerta sono andati in larga parte deserti per la non economicità delle condizioni. Egli proponeva dunque di dare più vantaggi ai privati, affinché la quota di alloggi calmierati potesse essere accettabile. Non credo sia questa la strada, anche perché gli alloggi che vengono offerti a condizioni vantaggiose vengono poi rapidamente, anche in elusione alle regole, rimessi sul mercato e prevenduti perché il loro valore di mercato è assai più elevato. E quanto già successo nel passato e non ha senso ripercorrere questa strada, anche perché invece abbiamo bisogno di un’immensa offerta tutta a prezzi calmierati.
Riprendo invece un’idea proposta in passato dal mondo delle cooperative e cioè che il settore pubblico metta a disposizione gratuitamente terreni, che oggi a Milano sono una quota importante dei costi, per realizzare dei complessi posseduti da cooperative o altri enti in modo collettivo, e cioè che le persone accedono al proprio immobile diventando soci della cooperativa o dell’istituzione, e non possedendo quindi direttamente l’immobile. Ciò ne rende impossibile la commercializzazione e quindi la monetizzazione del vantaggio che si è ottenuto rispetto al valore di mercato. Ricordo che questo è stato fatto nel dopoguerra a Milano, per esempio in tutta la zona di Niguarda, ed è stato un progetto di estremo successo. Tra l’altro l’ente proprietario del complesso di alloggi indivisi, potrà anche metterli in affitto, a condizioni calmierate, poiché ciò che manca è soprattutto l’offerta in affitto, di cui hanno bisogno i giovani e le giovani coppie, per evitare di impegnare le proprie risorse nell’acquisto di una casa. Questo sistema sfugge alle attuali regole del mercato, ma è stato, come si è visto, di estremo successo in Germania nel dopoguerra ed anche - come già detto - in alcune zone di Milano. Dall’altro lato serve anche modificare la regolamentazione degli sfratti, perché, per aumentare il numero di case in affitto, bisogna dare certezza al fatto che l’inquilino moroso possa essere allontanato dalla casa.
Questo approccio deve inserirsi nella comprensione che l’unica soluzione per renderla accessibile è allargare il perimetro della città. È evidente che negli ultimi 20 anni Milano è molto migliorata investendo soprattutto nelle zone ad alta potenzialità di rendimento finanziario. E’ questo quello che vogliono i fondi di investimenti e il capitale. Nulla di male in tutto ciò perché’ ha portato ad un abbellimento della città e anche ad una sua maggiore funzionalità, ma ora bisogna smettere di crescere in densità e allargare l’area. È inutile pensare che i meccanismi tradizionali di mercato possano aiutare in questo tipo di azione; occorrono metodi diversi con un maggior ruolo pubblico e con un diverso coinvolgimento di capitali privati.
Gli spazi disponibili entro il Comune di Milano sono davvero pochi, ma a Sud vi è la possibilità di creare una espansione della città, tenendo anche conto che in quell’area vi sono ancora molti terreni agricoli di proprietà di privati e di fondazioni, che potrebbero quindi essere espropriati. Ciò implica probabilmente ripensare il funzionamento della Città Metropolitana. Coltivare il riso nella periferia di Milano con l’inquinamento che abbiamo non mi sembra un’attività di prima necessità, mentre tutte quelle zone potrebbero essere adatte a creare nuove urbanizzazioni inserite nel verde, purché vengano collegate con la città, e questo potrebbe dare una prospettiva ulteriore di sviluppo economico, che oggi è contingentato dalla difficoltà di attirare persone, poiché i salari sono troppo bassi rispetto ai costi della vita in città. Dovrebbe farci riflettere che si sta facendo fatica a trovare persone che guidino i nostri mezzi pubblici ed è pertanto tempo che coloro che spingono per l’immobilismo si rendano conto che si sta imboccando non la strada della tranquillità, ma quella della decadenza.
Sono queste solamente alcune considerazioni - e non penso certo di avere una soluzione completa ad un problema così complesso - ma esse indicano la strada da percorrere: diversa, coraggiosa e che sappia uscire dai canoni che il mercato, la finanziarizzazione, la consuetudine e l’interesse di chi ha ottenuto dei vantaggi di posizione hanno creato, e che hanno pervaso il nostro modo di ragionare, togliendo il coraggio di fare scelte diverse.
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Oh finalmente una analisi seria e ben fatta e non il "Sala brutto e cattivo ha riempito la città di grattacieli e per colpa sua le case costano un sacco" che è più o meno quello che hanno scritto tutti (incluso Feltri) finora.
Bellissima analisi, grazie.
Io filosoficamente ho fiducia nel mercato perché mi fido delle scelte libere degli individui più che di grandi macchine burocratiche.
Quindi mi fa piacere trovare proposte che pur di natura diversa, riconoscono che:
- servono più alloggi e quindi bisogna allargare la città;
- rendere i permessi lenti e complicati diminuisce la trasparenza;
- molti dei residenti nei quartieri centrali, moderati e di sinistra, a favore di una città più inclusiva a parole, sono i primi a guadagnarci dall'immobilismo perché possiedono gli immobili di maggior valore.
Alla fine l'informazione principale che ci da l'aumento dei prezzi è che c'è più domanda che offerta.
Colgo il punto che ci sono due tipi di domanda: chi vuole vivere in città e chi ha interessi di puro investimento, e il secondo nuoce all'economia reale.
Milano è la città più produttiva d'Italia e accogliere più persone, abbassando il costo della vita, è una win-win.
Se per aumentare il numero di alloggi si provano anche soluzioni come quella delle cooperative ben venga.
Non ho idea di cosa voglia dire costruire a sud della città, ma da profano direi che è l'unica area dove si possa fare una differenza significativa. Mi sono sempre chiesto perché non sia mai avvenuto.
Qui ho parlato di quanto sia importante per le startup Italiane che Milano continui a crescere: https://andreazorzetto.substack.com/p/build-milan-build