Il mondo ricco e l'Europa in trappola
Il caso francese ci può chiarire in modo esemplare il vicolo cieco, non riconosciuto, in cui siamo finiti.
Il prossimo 8 settembre il governo di minoranza francese tornerà a chiedere la fiducia in parlamento su un piano di riduzione delle spese e di aumento delle tasse per frenare la crescita del debito pubblico. Molto probabilmente anche questa volta il governo verrà sfiduciato e cadrà, ma al di là del risultato del voto in parlamento, la maggioranza dei francesi ha da anni dimostrato di non volere alcun piano di austerità. Anche prima delle ultime elezioni, quando Macron aveva una seppur composita maggioranza all'Assemblea Nazionale, tutti i suoi tentativi in questo senso sono stati frenati da grandi agitazioni sociali che hanno impedito le riforme proposte o le hanno fortemente edulcorate, sino a renderle inefficaci rispetto agli obiettivi che il governo francese si proponeva.
La situazione d'oltralpe sta assumendo un aspetto particolarmente complicato a causa dell'instabilità politica del paese; tuttavia, è rappresentativa della situazione di tutti i principali paesi europei e degli Stati Uniti, cioè che il debito pubblico continua a crescere in relazione al PIL e a generare una forte preoccupazione in tutto il mondo finanziario e soprattutto tra coloro che devono sottoscrivere questi incrementi di debito e il rinnovo dei titoli in scadenza.
L'Itala ha avuto per tanti anni un ampio primato nel rapporto fra il debito pubblico e il PIL, che è attualmente di circa il 125%; ma è stata quasi raggiunta recentemente da Spagna, Francia, Regno Unito, e soprattutto dagli Stati Uniti: tutti questi paesi hanno ora un debito che è uguale o superiore al PIL.
L'unica eccezione, fra i grandi paesi, è la Germania, che ha un rapporto solo del 60% a causa di stringenti regole che si è data fino a pochi mesi fa, quando si è deciso, anche con un cambio costituzionale, un forte incremento della spesa pubblica e del deficit.
Questo rapporto, che è emblematico per il mondo finanziario, è influenzato sia da fattori macroeconomici sia dalle dinamiche di bilancio di ciascun paese.
Esaminiamo innanzitutto gli aspetti macro: il rapporto misura due valori monetari, e il PIL è quindi considerato al suo valore attuale, non deflazionato. Se quindi è presente una crescita dell'inflazione, vi è una veloce riduzione del rapporto, che vede il denominatore crescere rapidamente, mentre il numeratore rimane costante. Ciò è avvenuto per esempio nel periodo tra il 2022 e il 2024 quando c’è stato un breve picco di inflazione nel mondo occidentale.
Se però l'inflazione rimane nel tempo, questo vantaggio tende a sparire poiché il costo del debito aumenta gradualmente nel tempo, a causa della crescita degli interessi sulle nuove emissioni dei titoli di Stato che quindi fa aumentare il deficit.
Più importante è invece l'effetto dell'andamento economico, poiché, se l'economia cresce e quindi il PIL che è al denominatore, il rapporto tende a diminuire in modo stabile e ciò corrisponde anche ad un comune sentire, e cioè che, se il reddito di una nazione cresce, la sua capacità di sostenere il debito contratto migliora, come avviene per le aziende e le persone.
Passiamo ora agli aspetti di gestione del bilancio pubblico, che è fatto da entrate che sono quasi totalmente legate alla tassazione - diretta sui salari o indiretta (IVA) - mentre le uscite sono il totale delle spese pubbliche sia per il funzionamento dello Stato (per tutti i suoi aspetti amministrativi, gestionali, militari), sia per tutta l'area della spesa sociale che in Europa vale oltre il 20% delPIL. Va ricordato inoltre che in Europa continentale il 50% del Pil è generato dalla spesa pubblica, mentre nel Regno Unito è un po' inferiore, e negli Stati Uniti non raggiunge il 40%, poiché una parte importante della spesa sociale ed in particolare quella legata alla sanità e alla scuola è lasciata ai privati.
Da ormai molti decenni i bilanci pubblici europei presentano un deficit che finora è stato molto sostenibile, sia perché non era rilevante rispetto al PIL, sia perché la crescita economica dava la prospettiva di poter sopportare questo incremento del debito pubblico.
La situazione però è ormai radicalmente cambiata negli ultimi vent'anni, senza particolari differenze fra i paesi, poiché la crescita economica è molto bassa e inferiore all'1% in Europa, tranne che per un breve periodo in Germania che aveva avuto un boom di esportazioni. La mancata crescita economica non permette tuttavia di aumentare le entrate, che sono direttamente collegate con i salari e con l'attività commerciale (IVA). Entrambi questi elementi non stanno più crescendo, e inoltre non vi è disponibilità dei cittadini a sostenere un incremento delle tasse, ed anzi la riduzione di esse è lo strumento politico con cui ci si contende la battaglia politica. Dall'altra parte è impossibile ridurre le uscite, che anzi tendono ad aumentare, sia perché i bisogni sociali crescono - anche in relazione ad una popolazione sempre più anziana -, sia perché gli Stati sono stati obbligati ad intervenire in ogni crisi per mantenere la stabilità economica, ed in particolare lo hanno fatto nella grande crisi finanziaria del 2007, e più recentemente durante il periodo del COVID.
Inoltre, la spesa pubblica è uno strumento di crescita economica: gli Stati Uniti hanno dimostrato negli ultimi anni che l'enorme aumento di spesa pubblica durante il governo Biden è stato uno dei motori del buon andamento economico. Una diminuzione della spesa pubblica tenderebbe, oltre che a ridurre il welfare, a influire negativamente sull'attività economica. Dunque i bilanci pubblici sono bloccati, e mostrano non solo un deficit permanente, ma una crescita di questo deficit, anche a causa del sempre maggior peso degli interessi legati all'aumento dello stock di debito.
È questo il paradosso: i cittadini non accettano di pagare più tasse, ma neppure di veder ridotto lo Stato sociale di cui beneficiano. Va ricordato che nel frattempo vi è stata una grande crescita della ricchezza privata a causa dell’aumento dei valori immobiliari e mobiliari ed essa è oggi circa sei volte il Pil in tutti i paesi occidentali. Questo incremento proviene principalmente non dai redditi, ma dagli effetti finanziaria ed è poco tassato, ma non vi è nessuna disponibilità dei cittadini che la posseggono ad accettare una tassazione e, data la mobilità dei capitali, qualsiasi imposizione fiscale a livello locale genererebbe una loro fuga che danneggerebbe l'economia.
I paesi Occidentali si trovano quindi in una situazione bloccata, nella quale il debito pubblico non può che continuare a crescere, ma, soprattutto il rapporto debito/ Pil continuerà ad aumentare, a causa dell'anemica crescita economica.
Quindi un mondo privato “ricco”, anche se in modo diseguale, si trova ad essere uno Stato “povero”.
E veniamo ora all'altro problema, e cioè come finanziare questo debito. Da vent'anni questo tema è ricorrente nel dibattito economico e politico, e già dopo la grande crisi finanziaria del 2007/2008 (che aveva dissanguato i bilanci pubblici per salvare l'economia), molte voci autorevoli hanno sostenuto che questo squilibrio tra debito ed economia può diventare insostenibile. In realtà, queste preoccupazioni si sono finora dimostrate infondate, e la crescita dell'emblematico rapporto è continuata senza particolari problemi. Va inoltre segnalato che nei momenti di difficoltà le banche centrali hanno creato denaro comprando titoli di debito pubblico e sostenendo questo trend. Tuttora la Banca Centrale Europea possiede una parte importante dei debiti pubblici più fragili, ed in particolare detiene oltre il 20% di quello italiano.
Ma chi sottoscrive il debito pubblico? NOI, cioè, il risparmio dei cittadini dello stesso paese e quello internazionale. Questo risparmio è quasi completamente intermediato da banche e gestori patrimoniali, anche se i risparmiatori possono influenzarne l'uso attraverso le scelte dei prodotti finanziari in cui investire. Sempre più frequentemente gli operatori finanziari, che costituiscono un mercato super concentrato, dove poche centinaia di operatori gestiscono oltre il 50% del risparmio finanziario mondiale, stanno esprimendo perplessità rispetto a questa crescita ininterrotta e irrefrenabile dei debiti pubblici, tanto che questi stessi operatori sono stati chiamati, nel gergo finanziario, i " bond vigilantes", cioè coloro che utilizzando i risparmi dei cittadini per mettere un controllo e un freno alla spesa pubblica, e in fin dei conti alle scelte degli Stati.
È difficile stabilire se queste apprensioni siano fondate o meno; è bene ricordare che il rapporto Debito/PIL in Giappone è del 250%; I titoli di Stato di quel paese sono quasi interamente posseduti dai cittadini locali e dalla banca centrale giapponese.
È abbastanza sorprendente che gli economisti in generale difendono l'idea dell'indipendenza delle banche centrali, per evitare che esse possano essere usate dai governi per finanziare il debito pubblico, quando in realtà questo sta avvenendo in Giappone e anche parzialmente negli Stati Uniti e in Europa.
Questo quadro chiude il cerchio, e ci mostra che i cittadini del mondo occidentale non vogliono pagare più tasse, ed in particolare non vogliono una tassazione sulla ricchezza, ma nel contempo non desiderano vedere ridotta la loro spesa sociale pubblica ed infine, attraverso i loro intermediari, esprimono preoccupazione per la crescita dei debiti pubblici che essi stessi alimentano con le loro scelte politiche.
L'assenza, infine, di una crescita economica ci mostra che questo non può che essere chiamato "un vicolo cieco", nel quale noi, in modo schizofrenico, desideriamo da un lato qualcosa, che dall'altro tendiamo a temere.
La comprensione di questa situazione è largamente al di fuori del dibattito pubblico, forse anche perché ci metterebbe tutti di fronte alle nostre responsabilità.
In fondo non è poi strano che i politici vi sfuggano, molto più grave è il silenzio degli intellettuali e degli economisti. Questa situazione è ben rappresentata da una definizione del ruolo degli economisti data proprio da uno di loro, Branko Milanovic: “Mi domando perché gli economisti insistono sulle loro assunzioni nonostante una chiara evidenza che non rappresentino il mondo reale; forse perché la disciplina alla fine è normativa e non positiva, essa descrive il mondo come dovrebbe essere, non il modo in cui realmente è”.
La situazione che abbiamo descritto può anche forse far luce sugli attuali avvenimenti politici occidentali, dove le promesse elettorali non possono essere nei fatti mantenute, aumentando pertanto la delusione, soprattutto nelle fasce sociali che non possono godere del vantaggio di un minimo di ricchezza accumulata, e questo potrebbe spiegare l'adesione ai partiti populisti proprio di molti cittadini delle fasce sociali più deboli. Non che i populisti abbiano una chiave per risolvere questi temi, ma sanno dare dei nemici - gli immigrati, la globalizzazione, la grande finanza, le élite culturali - sui quali scaricare la delusione.
Nel mondo occidentale mancano, prima ancora che ricette per affrontare la situazione, adeguate analisi. Prossimamente discuterò le ipotesi sul “che fare”.
effettivamente il caso Giappone dovrebbe insegnarci qualcosa . ne parlero' nei prossimi post
Un'analisi magistrale che mette a nudo il paradosso fondamentale del nostro tempo: cittadini che godono di ricchezza privata record (sei volte il PIL) ma che rifiutano sia l'aumento delle tasse che la riduzione del welfare pubblico, creando Stati "poveri" in società "ricche".
Il concetto dei "bond vigilantes" è particolarmente illuminante - questi intermediari finanziari che gestiscono oltre il 50% del risparmio mondiale diventano di fatto i veri decisori delle politiche fiscali nazionali, più dei parlamenti democraticamente eletti. È una forma sottile ma potentissima di governance finanziaria che trascende i confini democratici tradizionali.
La citazione di Branko Milanovic sulla natura normativa dell'economia è devastante: gli economisti descrivono "il mondo come dovrebbe essere, non come realmente è". Questo spiega perché le ricette accademiche spesso falliscono quando si scontrano con la realtà politica e sociale.
Mi chiedo però: considerando che il Giappone sopravvive con un rapporto debito/PIL del 250% grazie al controllo interno del debito, non potrebbe l'Europa esplorare forme di "sovranità monetaria" più coraggiose? O siamo condannati ad aspettare una crisi che ci forzi a scegliere tra austerità e inflazione strutturale?