L’Europa in un vicolo cieco: che fare?
Una proposta concreta ed una narrativa di cui abbiamo bisogno.
Questa newsletter conclude la trilogia sul che fare per l’Europa.
Innanzitutto una breve sintesi delle ragioni che hanno creato un sistema “bloccato” che delude e rende “arrabbiato” un numero sempre più crescente dei suoi cittadini:
Bassa crescita economica e stagnazione dei redditi;
Il crescente costo dello stato sociale viene mantenuto con un continuo aumento dei debiti pubblici, infatti è difficile aumentare la tassazione su redditi bloccati, mentre non c’è consenso per tassare gli incrementi patrimoniali, soprattutto immobiliari, che il processo di finanziarizzazione ha creato;
La tecnologia ha permesso l’automazione di moltissimi lavori di fascia intermedia (cioè quelli legati ai processi manufatturieri ed amministrativi): questo ha creato una polarizzazione nel mondo del lavoro, diviso tra attività che richiedono competenze medio alte, e una conseguente buona remunerazione, e un aumento di lavori con basse competenze e bassi salari;
Questa dicotomia, unita alla decrescita demografica, ha spinto all’utilizzo sempre più importante dell’immigrazione per coprire queste attività a bassa competenza; mentre molti nativi delle classi sociali medio basse sono sempre più insoddisfatti della loro posizione sociale e reddituale, e cresce tra di loro il numero di persone inattive e che tende ad appoggiarsi a sovvenzioni pubbliche;
Infine, la disuguaglianza che veramente sta incidendo è quella patrimoniale, che permette un vantaggio competitivo alle famiglie ed ai giovani che ne possono usufruire, favorendo percorsi di vita avvantaggiati. Questa situazione spiega anche la continua documentata crescita del voto dei giovani verso posizioni estreme proprio per un’assenza di prospettive, che si scontra con aspettative elevate, e certamente anche con una chiara difficoltà ad accettare lavori poco qualificati, poco remunerati e socialmente poco apprezzati. Questo quadro mostra che le nostre società sono bloccate da un insieme di circostanze difficilmente modificabili. Nessun paese del mondo ricco ne è immune, neppure gli Stati Uniti, con la sola differenza che il loro estremo avanzamento tecnologico ha creato un segmento dell’economia molto ricco, ma che ha un impatto veramente limitato sui redditi del resto del paese.
Ho spiegato come il cosiddetto progetto Draghi - cioè il sogno che una Silicon Valley europea possa toglierci dalle difficoltà - sia da un lato impossibile, stante la mancanza delle condizioni necessarie europee che tale progetto richiede, e dall’altro sia non risolutivo. Quasi contemporaneamente il premio Nobel Paul Krugman ha proprio confermato, ovviamente in un modo molto più articolato ed autorevole, questa mia tesi.
Il primo problema a cui ci troviamo di fronte è quello della mancanza di consapevolezza di questo quadro globale, e cioè dell’estrema difficoltà di intervenire. In realtà questa situazione è il frutto del successo del mondo occidentale, di cui ha beneficiato, nelle nostre società una larga parte della popolazione, ma non tutti. Dall’altra parte soffriamo la continua crescita del resto del mondo, che toglie sia spazi geopolitici, sia spazi economici. La parte più ricca, più formata culturalmente e professionalmente del mondo occidentale, non ne soffre, perché ha le risorse economiche personali per mantenersi in alto, mentre l’altra parte è in estrema difficoltà.
La cosa più grave è che questa non consapevolezza, anche frutto di comodità intellettuale, è forte in chi ha gestito le società occidentali negli ultimi quarant’anni e cioè le élite liberal democratiche (culturali e politiche), sia di centrodestra che di centrosinistra. La situazione francese è emblematica di questo fatto, e cioè una difesa strenua della situazione senza alcuna proposta, o meglio con proposte che di fatto perpetuano lo stallo in cui ci troviamo. Non che i populisti abbiano delle soluzioni, ma sanno cogliere il disagio, e dare a questo disagio dei nemici: gli immigrati e le élite, e quindi lo placano non nei fatti, ma nella rabbia che trova un capro espiatorio.
L’unica strada per affrontare, almeno parzialmente, la situazione è quella di aiutare quella fascia ampia di persone che non può godere della posizione di benessere che il mondo occidentale ha permesso ad un’altra parte della sua popolazione. Questo vuol dire ridurre numericamente quella fascia in difficoltà e permetterle di vivere in condizioni migliori.
Come recentemente ha mostrato uno studio di McKinsey, l’unica strada è quella di un incremento di produttività, i cui guadagni vadano anche - e questa precisazione nello studio manca - a beneficio di questi ceti sociali.
Ci sono a mio avviso due ricette: investimenti in automazione, e aumento del salario minimo, e cercherò di spiegare perché la combinazione delle due misure è necessaria:
Automatizzare i processi produttivi è l’unico modo per far crescere la produttività, e cioè creare uno spazio di redditività nelle attività economiche per remunerare meglio i lavoratori. Oggi i processi di automazione si concentrano dove vi è un rapido vantaggio economico per l’azienda, mentre è molto ridotto l’incentivo ad automatizzare dove si possono avere salari molto bassi;
Il graduale incremento del salario minimo costituisce un vincolo che diventa incentivo ad automatizzare anche i processi produttivi e i servizi, dove oggi la manodopera a basso costo è ancora competitiva. Come ho già spiegato, questo è ciò che sta avvenendo in paesi come Danimarca, Australia e Canada, che hanno un minor livello di scontento sociale;
Questo incremento dovrà innanzi tutto far sparire alcune attività, soprattutto nell’agricoltura, che sono ormai svolte solo da immigrati con salari bassissimi, e spesso nella più ampia illegalità: per esempio, in Italia è il caso della raccolta dei pomodori, oppure di alcune fabbricazioni rivolte al settore della moda. Questi lavori vanno solo a beneficio di pochi, generano un problema sociale immenso e non danno alcun reale vantaggio per i consumatori, e inoltre queste attività potrebbero essere benissimo svolte in molti paesi in via di sviluppo. Va segnalato come per esempio l’attuale governo italiano, che ha fatto della lotta alla immigrazione clandestina una sua bandiera, continui a non fare nulla per intervenire su queste attività, che sono conosciutissime;
La combinazione delle due misure proposte genererà l’uscita dal mercato delle attività meno produttive ed ha anche un incremento di prezzi per il consumatore per alcune attività più semplici, per esempio i bar e la ristorazione. Ma i vantaggi che ne possono nascere sono ampiamente superiori; infatti, gli incrementi dei salari bassi andranno quasi tutti in consumi e quindi sosterranno l’economia. Di fatto l’incremento dei salari bassi è una modalità di redistribuzione in parte tra capitale e lavoro e soprattutto fra le fasce di consumatori di reddito medio alto verso i lavoratori con attività più semplici;
La crescita dei salari per le attività più semplici deve anche aiutare e modificarne l’attrattività economica e di reputazione proprio per favorirne l’appetibilità. Infatti - come ho detto nella precedente newsletter - stiamo assistendo ad una crescente immigrazione per coprire questi lavori, ma anche a un consistente numero di persone native che non sono formate adeguatamente, e che sono di fatto inattive. Questo è un costo economico e sociale che le nostre società avanzate non possono sopportate, e che deve essere agevolato anche da un cambio del sistema educativo;
Gli Stati devono essere i primi promotori di questa svolta, ed in particolare è necessario che questo avvenga nel Sud dell’Europa, dove le attività pubbliche sono ancora inefficienti e i salari molto bassi. È necessario automatizzare ulteriormente tutti i processi amministrativi, e concentrare i dipendenti pubblici nelle attività fondamentali, come sanità ed educazione. Questo vuol dire cambiare totalmente i modelli erogativi, perché con lo stesso numero di persone si possono fornire servizi di qualità, incrementando tutto ciò che può essere automatizzato. Bisogna di fatto costruire una transizione verso una nuova società in cui saremo sempre meno, perché la diminuzione demografica è inarrestabile, e le attività possono essere svolte da meno persone, meglio pagate, grazie ai processi di automazione. Quindi gli Stati devono fare per primi “questo passaggio”: ridurre il numero dei propri dipendenti, investire in automazione e aumentare le remunerazioni. Sono cambiamenti importanti, per le quali occorre creare nell’opinione pubblica questa consapevolezza e la convinzione che non abbiamo alternative;
L’intervento sui modelli in cui lo stato eroga i servizi in particolare, la sanità e l’educazione richiede un grande dibattito; bisogna creare la consapevolezza della necessità del cambiamento rispetto a modalità una volta molto efficaci, ma non più ora. Serve un grande consenso che tocchi il mondo intellettuale, i politici ed anche i sindacati che devono passare dalla pura difesa della situazione ad essere contributori del cambiamento nell’interesse dei lavoratori che rappresentano. Non si può chiedere salari più elevati senza un incremento di produttività che può essere solo raggiunto attraverso questi cambiamenti;
Questo grande sforzo pubblico richiede risorse finanziarie, anche perché una parte degli attuali dipendenti pubblici dovrà andare in pensione anche anticipata per permettere l’innesto di nuove persone che siano più disponibili al cambiamento. Quindi si dovrà ricorrere per un breve periodo di incremento della spesa pubblica che dovrà essere negoziato direttamente con l’Unione Europea. Va ricordato che all’interno della struttura europea vi è solo un’organizzazione che si muove a maggioranza e senza diritti di veto ed è la Banca Centrale Europea (BCE). Occorre che sia proprio la BCE a finanziare questo passaggio, anche perché ormai una parte rilevante dei debiti pubblici in Giappone, negli Stati Uniti e in UK è ormai posseduto stabilmente dalle banche centrali. Dobbiamo rompere questo tabù errato del pensiero macroeconomico dominante. Il Giappone e l’Italia, i cui debiti pubblici sono posseduti rispettivamente per il 50 e il 25% dalla banche centrali o nazionali, di mostrano che quest’operazione non è affatto inflazionaria e dobbiamo ricorrere stabilmente a questo strumento, ovviamente con progetti validi e non sperperando denaro. Tra l’altro questa proposta può trovare l’accordo di una parte dei partiti populisti e costruire quindi un consenso forte in questa direzione. Anche in quest’area le élite liberal democratiche sono attaccate a qualcosa che non è più valido e soprattutto che non è vero nei fatti;
Le società europee sono affaticate, i giovani che non hanno alle spalle una famiglia solida e con possibilità economiche stanno perdendo motivazione a fare gli sforzi necessari per la formazione, e a rimanere nelle regole; tutto questo perché le loro prospettive appaiono confuse e poco attraenti. Tutta la concentrazione pertanto deve essere verso modalità che sappiano tornare a motivare e ad integrare questi giovani: non vedo altra strada che quella di processi formativi più in linea con i bisogni della società, più personalizzati e con una chiarificazione delle opportunità lavorative possibili, e con remunerazioni che siano attraenti.
Approfondendo questi temi, ho sempre più preso coscienza dell’estrema difficoltà che ci troviamo davanti, poiché i cambiamenti che ci stanno arrivando sono estremamente violenti. Bisogna quindi decidere ciò che è importante fare, e la mia convinzione è – come ho detto sopra - che l’unica strada sia quella di una transizione verso una società molto più automatizzata, perché è l’unico modo per risolvere contemporaneamente il problema della crisi demografica, e quello dei salari troppo bassi per alcune attività lavorative. L’Europa, invece di tentare di creare vanamente un’altra Silicon Valley, deve innovare su questo campo e diventare un faro per tutto il mondo, poiché la crisi demografica è ormai mondiale e anche i paesi in via di sviluppo dovranno affrontare queste tematiche: questo è il fronte dell’innovazione in cui l’Europa può primeggiare, e per farlo non servono improbabili cambiamenti delle organizzazioni europee, ma piuttosto i singoli paesi dovrebbero competere tra di loro in questa direzione, imparando l’uno dall’altro.
L’Europa ha bisogno di ricette concrete e applicabili velocemente e soprattutto ha bisogno di una nuova narrativa. Chi ha governato negli ultimi trent’anni non ha alcuna proposta e i populisti si affermano solo perché individuano dei nemici. Chi è più anziano sa che le narrative collettive sono necessarie per dare alle persone delle prospettive. Nel dopoguerra vi è stata quella della ricostruzione e della grande crescita dei redditi e dei consumi; successivamente il neoliberismo ha promosso la libertà individuale, l’imprenditorialità e il successo. Anche questa spinta sta mostrando i suoi limiti; abbiamo bisogno di un nuovo progetto collettivo che dia degli obiettivi, delle speranze e delle direzioni chiare in cui muoversi, cercando di rompere la polarizzazione e creando invece un consenso comune.